giovedì 18 gennaio 2018

ma che freddo fa..


è una cantilena sentita e risentita. Un disco rotto.
Ciclicamente si ritorna a parlare di freddo nelle scuole, di
ineguatezza climatica negli istituti della nostra città (e, magra consolazione, mica solo). E ogni volta è urticante. Davvero urticacnte. Ma.
C'è un ma.
E' toccato a tutti. Un brutto pedaggio. Una leva obbligatoria. Un'epidemia 
influenzale.
Lo sciopero per i riscaldamenti spenti a scuola è toccato proprio a tutti.
E ci risiamo.
Stiamo parlando di edifici in cui si svolgono mansioni pubbliche.
Ma mica sentiamo mai dire che fa freddo negli ospedali. O negli uffici
municipaili. Mai. E vivaddio. Ma questa peste bubbonica del freddo nelle scuole è  incurabile, un'ineluttabilità del fato, un fine pena mai.
Ma, e qui sta il ma, se urticante lo è, e lo è sempre stato, 
e senza voler necessariamente risultare facilotti a tutti i costi 
(o populisti, per usare un termine a la page, o qualunquisti, optando invece per una soluzione più vintage), in tempi in cui veniamo asfissiati da promesse elettorali che ci limiteremo a definire fantasiose, di ogni tipo, da ogni dove, 
beh, proprio in questi momenti ritrovarsi faccia a faccia con il semplice fatto, ahinoi assai più realistico, dell'inospitalità dei luoghi in cui i nostri
ragazzi si formano, si istruiscono, si educano, non si può veramente più sentire. Non nel 2018.
Ci siamo seduti per puro caso, un paio di giorni prima della notizia strillata sulla plancia da questo quotidiano, accanto ad un tavolo al quale tre belle adolescenti discutevano molto animatamente di questo problema, dello sciopero, dei soliti tre stronzi che rifiutano di aderire, di stufette (non è uno scherzo: di sfufette a scuola), di sollecito di intervento a chicchessia, carabinieri compresi, 
e di una lettera al ministero competente con richiesta urgente di interessamento (che dovrebbe anzi essere la prima cosa da fare, auspicabilmente
senza risposta a primavera inoltrata) il tutto inframezzato
dal solito rifrullo convulso di messaggini vocali Whats App, non sempre
dai toni conciliantissimi. Circostanza che ci ha fatto percepire una reale esasperazione, un disagio concreto e prolungato, non certo un capriccio o una scusa per marinare la scuola.
Chi scrive non ha figli. Ma se ne avesse, a questo punto della storia sarebbe incazzato furibondo. 
Con i sacrifici che comporta mandare i figli a scuola, saperli affidati
a chi non è capace neppure di garantir loro un'adeguatezza climatica,
è davvero una cosa che fa pulsare la giugulare.
Altro che "chiù pilo pe tutti".

Nessun commento:

Posta un commento

Orbetellove si riserva la facoltà di rimuovere commenti non in sintonia con la mission e le caratteristiche del blog.